Più veloce del tempo: la storia di Lancia

Quando Enzo Ferrari vede arrivare nei suoi box la Lancia D50 per la prima volta dichiara che quella macchina «è un capolavoro» e che non «osa modificarla».Il patron Ferrari si innamora a prima vista della monoposto progettata da Vittorio Jano per Lancia e poi ereditata dalla Ferrari nel 1955.E chi lo conosce, sa che quella sarà una delle poche volte in cui Enzo Ferrari riconoscerà apertamente la superiorità tecnica di un’auto che non ha prodotto lui.Questa è Lancia.Una leggenda italiana.Una leggenda che ha corso più veloce del tempo stesso.C’è stato un momento della storia in cui l’automobile non era solo un mezzo. Era arte, era ingegneria, era competizione. Era un sogno su quattro ruote.E spesso quel sogno era firmato Lancia.A Torino, nel 1906, il rombo delle prime automobili scuote le strade polverose, risuona tra gli intonaci di barocco misurato che avvolgono i palazzi monarchici e tra quei pionieri c’è un uomo diverso da tutti gli altri.Si chiama Vincenzo Lancia.È un collaudatore Fiat, un uomo appassionato e un pilota di razza. Ma a Vincenzo non basta correre. Lui vuole costruire macchine.Anzi, vuole immaginarle prima degli altri.Nel cuore della Torino industriale di inizio Novecento, quando l’automobile è ancora un esperimento rumoroso che solleva polvere tra le carrozze dinoccolate, Vincenzo Lancia ha già lo sguardo nel futuro.Giovane, brillante, innamorato della meccanica e del rischio. Pilota di talento, il fondatore di Lancia è uno che “sente” il metallo come pochi. E non si accontenta di guidare: vuole creare, dare forma a qualcosa che sia insieme veloce, elegante e tecnicamente superiore.Nel 1906, con l’amico Claudio Fogolin, fonda la sua casa automobilistica Lancia & C.Vincenzo non costruisce carrozze motorizzate, come molti altri suoi colleghi. Lui dà forma alle sue idee, incastonate in lamiere leggere e propulsori brillanti.
Il primo modello è la Tipo 51, che poi verrà ribattezzata Alfa (niente a che vedere con Alfa Romeo).Questa automobile è già una dichiarazione di stile: possiede un motore 4 cilindri ed è uno scrigno di raffinatezze meccaniche e di attenzione maniacale ai dettagli.Da lì inizia una corsa contro il tempo, l’ingegno e il mercato.Le auto che escono dalla mente e dal cuore di Vincenzo Lancia sono vetture leggere, innovative, eleganti.
Negli anni ’20, quando la concorrenza costruisce ancora telai in legno e carrozzerie imbullonate, Lancia inventa un altro capolavoro: la Lambda.Mentre il mondo rallenta a causa delle guerre, il marchio di Torino corre. E lo fa con una lucidità visionaria.Nel 1922 la Lambda è una delle auto più rivoluzionarie mai costruite. Ha la scocca portante, un’idea che oggi troviamo su ogni vettura moderna, ma che allora suona come un’eresia. È molto più leggera delle altre vetture, più rigida, più sicura. Le sue sospensioni anteriori sono indipendenti e assicurano una tenuta di strada semplicemente impensabile prima di allora.
I rivali guardano, a bocca aperta. Il mercato esita.Ma Lancia continua.Con la Aprilia, nel 1937, Vincenzo introduce un’aerodinamica avanzatissima per l’epoca, frutto di studi al Politecnico di Torino.Quest’auto ha le portiere senza montante e un design avveniristico.Quando la Aprilia debutta, il mondo si prepara alla guerra, ma Lancia costruisce il futuro.La Aprilia sembra arrivare da un’altra epoca, scivolata su una curva temporale, con il suo design fluido e le sue linee affusolate. È un soffio d’aria nel vento.A prima vista si tratta di un’auto sobria, compatta, ma appena la si osserva meglio, si comprende che quella vettura è diversa da tutto ciò che esiste.La Lancia Aprilia è l’auto più aerodinamica d’Europa: il suo coefficiente di penetrazione (Cx) è pari a 0,47, un valore incredibile per l’epoca. Risultato ottenuto grazie a studi condotti con il Politecnico di Torino e test in galleria del vento – una rarità assoluta nel mondo automobilistico prebellico.Ma non si tratta soltanto di una questione estetica.Il suo motore a 4 cilindri a V stretto è compatto, è leggerissimo ed è posizionato in modo da ottimizzare la distribuzione dei pesi. Le sospensioni sono indipendenti e le conferiscono una maneggevolezza fluida e precisa.E poi c'è quel dettaglio che nessuno dimentica: le portiere senza montante centrale. Aprirle dà l’impressione di entrare in un salotto, non in un’automobile.L’Aprilia diventa rapidamente la Lancia della nuova classe dirigente. L’automobile degli ingegneri, degli architetti e degli intellettuali.È una vettura discreta, non appariscente. Ma chi la guida fa parte di qualcosa. Di una cultura della tecnica, del pensiero e dello stile. L’Italia che sogna, studia e si prepara a rifiorire, anche se intorno a lei si addensano le nubi della guerra.Ma l’Aprilia non è un’auto per tutti.È creata per chi vuole sentire l’automobile come una seconda pelle. Per chi sa che la modernità non è un grido, ma un sussurro.
Poi arriva il dopoguerra.Le macerie fumano ancora, ma il desiderio di bellezza torna a scorrere come un fiume sotterraneo.Ed è così che nel 1950, Lancia presenta l’Aurelia, e con essa l’automobile italiana entra in una nuova era.Non si tratta di solo tecnica. L’Aurelia è poesia.Il suo cuore è del tutto nuovo e nel petto di lamiera le batte il primo V6 della storia. Progettato dal geniale Francesco De Virgilio - un ingegnere giovane, curioso, colto - è un propulsore di 1.756 cc che canta come un tenore. Non solo eroga potenza fluida, ma ha un timbro unico, inconfondibile, dolce e profondo, come una voce che accompagna ogni curva.Il telaio è raffinato, il cambio è al posteriore per una migliore distribuzione dei pesi, e le sospensioni sono progettate per dare comfort e precisione in egual misura.Guidarla, oggi come allora, è come danzare con l’asfalto.Con la Aurelia B20 GT, nel 1951, Lancia inventa qualcosa che prima non esisteva: la Gran Turismo moderna. Un’auto sportiva, ma allo stesso tempo elegante. Potente, ma civilissima. Capace di correre la Mille Miglia e poi portarti all’opera, un attimo prima che si alzi il sipario.Le carrozzerie sono firmate Pininfarina, Ghia, Vignale, Zagato. Ogni versione è dunque un piccolo capolavoro.Le automobili che escono dalle manifatture Lancia sono orologi meccanici che corrono, abiti su misura per chi ha ancora il coraggio di vivere con stile.Lancia è l’anima dell’Italia in corsaL’Aurelia è anche cinema. Neorealismo e dolce vita.Come una diva compare nei film di Fellini e Antonioni e sfreccia ne “Il Sorpasso” accanto a Vittorio Gassman.È l’auto di chi sogna un’Italia nuova, fatta di palazzi moderni, di autostrade veloci, di cocktail in terrazze affacciate sul Mediterraneo.È lo spirito dell’Italia che rinasce dalla guerra, con un volante tra le mani e lo sguardo verso il futuro.Ma essere troppo avanti per il marchio ha un costo.Le Lancia costano troppo per un pubblico ancora aggrappato a criteri più conservativi. Le vendite faticano, anche se la reputazione fiorisce. Lancia è l’auto degli intenditori. Una che non si compra: si sceglie.Negli anni ’70, il genio italiano diventa follia controllata.Il marchio entra nei rally e cambia tutte le regole del gioco.Lancia non corre per partecipare, ma per dominare.La Stratos (1973) è la prima auto che viene costruita esclusivamente per vincere nei rally. Telaio Bertone, motore Ferrari Dino, linee da navicella spaziale.La Stratos non è solo veloce. È brutale, sensuale, inarrestabile. E diventa subito leggenda, infilando tre titoli mondiali consecutivi.
Quando l’epoca delle trazioni integrali si avvicina, tutti danno per spacciata la trazione posteriore.Ma Lancia non ci sta e progetta la 037, una belva leggera e nervosa, affidata anche alle mani di Walter Röhrl. E nel 1983 batte l’Audi quattro. Una vittoria considerata miracolosa ancora oggi. L’ultima volta che un’auto a due ruote motrici vinse il mondiale rally.Con la Delta Integrale il marchio diventa leggenda.Jeremy Clarkson la definisce «un’auto costruita con il cuore, non con i calcoli.» E la leggenda vivente del rally Walter Röhrl confessa che «con la 037 senti la macchina come un’estensione del tuo corpo. Un’estasi continua.»Guidata da mostri sacri come Miki Biasion e Juha Kankkunen diventa subito un’icona su ruote, il simbolo di una nazione intera.Con il team Martini Racing, la Delta è invincibile.Dal 1987 al 1992 vince sei titoli mondiali costruttori consecutivi. Un record che nessun altro ha mai eguagliato. E mentre scivola nel fango, salta sull’asfalto, ruggisce nella neve e scrive la sua stessa storia.La Delta Integrale è una bandiera, una fede, un mito.
E poi? D’improvviso, poi il vuoto.Una dissolvenza surreale.Negli anni ’90, Fiat assorbe completamente il marchio.I modelli iconici spariscono, le eredi sono solo timide imitazioni dei capolavori precedenti, troppo borghesi per il mercato.La Thesis è raffinata ma incompresa e i vari tentativi di rilancio falliscono uno dietro l’altro.Arrivano le Lancia americane, frutto del rebadging con Chrysler: la Flavia, la Thema, la Voyager…Ma nessuno ci crede davvero.Rispetto alle regine del passato che il marchio è stato in grado di produrre, queste auto non hanno anima. Non hanno quel fuoco con cui Lancia ha illuminato la storia dell’automotive dagli albori del marchio.
Nel 2014, il colpo finale.Tutti i modelli vengono ritirati, tranne una.La piccola Ypsilon che viene commercializzata solo in Italia. Una principessa decaduta, ma ancora amata, ancora voluta, anche se completamente sola.
E oggi?Oggi Lancia risuona come un’eco, un ricordo sussurrato tra collezionisti, club e fan sfegatati.E nell’aria risuona anche una promessa.Stellantis ha annunciato un piano di rilancio. Entro il 2026 dovrebbero arrivare nuovi modelli elettrici.A cominciare dalla nuova Ypsilon, e poi una GT e probabilmente un crossover.La sfida è enorme. Il compito arduo e l’obiettivo è riaccendere un mito, senza tradire lo spirito che ha attraversato tutta la storia del marchio.E proprio come dice Gianni Lancia, figlio del fondatore «noi non abbiamo mai voluto fare solo automobili. Volevamo lasciare un’impronta nel tempo.»E l’orma di questo leone, non si cancellerà mai.
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