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Le auto nei film: Il sorpasso

È la mattina di Ferragosto del 1962. Bruno Cortona (Vittorio Gassman), un 36enne amante della bella vita e delle auto sportive, è a bordo della sua Lancia Aurelia B24 convertibile, alla ricerca di una sigaretta e di un telefono fisso. Il tutto, per le vie di Roma, vuota e caldissima. Classico agosto italiano. Lo accoglie nel suo appartamento Roberto Mariani (Jean-Louis Trintignant), studente di legge al quarto anno, rimasto in città per preparare gli esami. Un po’ meno classic e molto più sad. L’invadenza di Bruno e l’arrendevolezza di Roberto – che in realtà maschera anche una certa attrazione – porta i due protagonisti a compiere un instancabile viaggio lungo la via Aurelia, sfrecciando nell’Italia del boom economico. Stiamo parlando de Il Sorpasso (1962) di Dino Risi, il primo road movie realizzato in Italia, nonché uno degli affreschi cinematografici più riusciti della commedia all’italiana, dove alla leggerezza delle risate si contrappongono, taglienti, la satira dei costumi borghesi e il dramma sociale di quegli anni. Bruno e Roberto rappresentano due classi distinte: il primo l’alta borghesia, rampante e arrivista, mentre il secondo, attratto da schemi di successo ma ben radicato in precisi canoni di comportamento e virtù familiari, la piccola borghesia lavoratrice. In tutto ciò, il sottoproletariato urbano è ancora distante dai grandi processi economici.
Nella pellicola la critica di costume è resa in modo particolare dal legame con la strada, rappresentazione scenica di una nazione che si avvia verso un inesorabile tramonto di un sogno, quello del benessere collettivo e generalizzato. Spoiler (che spoiler non è perché è un film degli Anni ‘60): nel finale tragico, Bruno, all’ennesimo sorpasso avventato, fa catapultare l’autovettura in una scarpata, tentando di evitare lo scontro frontale con un camion. Secondo voi chi muore? No, esatto: non lui. Muore l’onesto e ingenuo Roberto. Ma il finale di Risi ha senso: i protagonisti rappresentano due identità della nazione al bivio della propria storia. Quella legata ai princìpi, rappresentata dallo studente, viene sedotta e muore (e con sé muore il sogno), lasciando campo libero all’altro lato dell’Italia, quella furbesca, individualista e amorale. La vicenda si snoda lungo la Via Aurelia, l’arteria consolare che da Roma si dirige verso le riviere di Fregene dell’alto Lazio. Più di altre, questa strada ha rappresentato negli Anni ’60 un mito collettivo e generazionale: una strada verso la vacanza, l’evasione e il benessere, che ogni domenica veniva percorsa dalla società romana per celebrare il rito della festa. Lungo l’Aurelia si attraversavano dapprima i quartieri borghesi sorti a ridosso del centro di Roma e, poi, le borgate popolari ancora fatiscenti. Correvano velocemente contrade agricole, fino al raggiungimento delle spiagge.
Il simbolismo è riflesso anche da un’altra costante protagonista del film: l’automobile di Bruno. La Lancia Aurelia B24, uscita dalle officine nel 1956, rappresentava all’epoca un prototipo di eleganza e raffinatezza, che tuttavia sfociò ben presto in un ideale aggressivo e prepotente. Motore truccato e allestimenti tamarri (ad esempio il fastidioso clacson tritonale che accompagna molte scene del film e altrettanti sorpassi sboroni). Si scorgono anche la fiancata destra dell’automobile con ancora le lavorazioni di un’officina di carrozziere, le riparazioni non ancora riverniciate e le cicatrici delle avventure sostenute dall’auto e dal suo pilota. La scelta di questa vettura non è quindi casuale: Dino Risi, con la Lancia Aurelia, ha voluto rappresentare la corruzione di un’idea, la fiducia nel miracolo economico italiano che presto finisce e lascia il posto a una società divisa, in cui solo un opportunista come Cortona, con i suoi pseudovalori, può essere l’unico, vero protagonista del benessere sociale.
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