C’è un mondo là fuori che viaggia strano.L’universo automotive è un bizzarro atlante di soluzioni, di adattamenti, di usi e di passioni.Forse proprio perché l’auto, a ben vedere, non è mai stata solo un mezzo di trasporto.È cultura, è economia, è resistenza.E spesso, è anche una splendida eccentricità.La mobilità non è mai neutra, semmai un riflesso delle nostre abitudini, dei nostri limiti e delle nostre ossessioni.La prossima volta che affittate un’auto in vacanza, fate attenzione perché potreste ritrovarvi risucchiati in un rito collettivo, in un’idea di libertà diversa da quella a cui siete abituati, o semplicemente in un gran casino su ruote.Per chi come noi ama i motori, viaggiare rivela un panorama ben più sorprendente di una semplice guida a destra o a sinistra.In giro per il mondo ci sono usanze, regolamenti e stranezze automobilistiche che raccontano storie di culture, di economie, di abitudini lontane dalle nostre.Pizzichi di follia umana sparsi qua e là nel globo.Quanto basta.A Singapore, per esempio, la targa della nostra automobile vale più della macchina stessa.Immaginatevi di entrare in una concessionaria, di scegliere una Toyota Yaris e di scoprire che per poterla immatricolare vi serviranno altri 100.000 euro.Non sto scherzando!A Singapore succede davvero.Per limitare il traffico in una delle città-stato più dense del pianeta, il governo ha introdotto un sistema chiamato Certificate of Entitlement.Si tratta di una vera e propria asta per il diritto di possedere un’auto per i successivi dieci anni.E il prezzo medio a cui il certificato viene battuto si aggira intorno ai centomila dollari.A queste condizioni chiunque si immaginerebbe che i singaporiani si siano rassegnati a girare con una quattro ruote di proprietà.Nemmeno per sogno!Anzi, per molti, possedere una targa è ormai diventato uno status symbol, più ancora dell’auto a cui è avvitata.
La Thailandia è invece il regno dei tuk tuk.Chiunque sia stato a Bangkok ha incrociato con lo sguardo - se non c’è salito sopra - almeno uno di questi tricicli motorizzati.Rumorosi, colorati, scattanti come insetti impazziti, sfrecciano nel traffico cittadino e sono il simbolo della mobilità urbana thailandese.Ma come mai sono ancora così diffusi?La ragione è tutto sommato semplice.I tuk tuk sono economici da mantenere, ideali per le stradine affollate delle città e sono diventati parte integrante dell’identità turistica del paese.Guidarne uno è quasi un rito di passaggio.Un’esperienza a metà tra una versione etnica di Gran Turismo e la vecchia giostra di un luna park.
Ma se la Thailandia è devota al triciclo, è il Messico ad allungare la vita del MaggiolinoMentre in Europa il mitico scarafaggio di Volkswagen è diventato un’icona vintage da raduno, in Messico è rimasto fino a ieri, il taxi per antonomasia.La produzione del mitico Vocho, come lo chiamano da quelle parti, è proseguita fino al 2003 nello stabilimento di Puebla.L’amore incondizionato dei messicani per il Beetle ha le sue ragioni.Si tratta di un mezzo semplice, robusto, economico e facile da riparare: l’ideale per chi deve macinare decine di chilometri ogni giorno.Per decenni è stato il taxi per eccellenza di Città del Messico, tanto che ancora oggi se ne vedono parecchi in circolazione, magari rattoppati, ma vivi e rombanti.
Chi come me ha infilato documenti in un fax per mandarli al destinatario, si ricorda senz’altro che le macchine francesi, un tempo si riconoscevano tra le altre per via di quei loro fari gialli, che parevano occhi stanchi.Almeno fino al 1993.Che fosse una scelta poetica? Quasi, si potrebbe dire.Durante la Seconda guerra mondiale il giallo fu introdotto per distinguere i veicoli civili da quelli militari, e con il tempo divenne una norma.Oltretutto si diceva che il giallo affaticasse meno la vista nelle fitte nebbie della campagna francese.Dopodiché, tra la globalizzazione dei ricambi e l’inefficienza luminosa, i fari gialli sono stati banditi.Un tocco nostalgico, alla stregua dei croissant fatti come Dio comanda.Trovare, li trovi ancora, ma solo nei paesini.
Il Giappone è il regno delle kei car.In un paese dove ogni centimetro quadrato è prezioso come l’aria che respiriamo, l’auto ideale non è un SUV ma una vera e propria scatola con le ruote.Le kei car - abbreviazione di “kei-jidōsha” - sono mezzi piccoli, leggeri e straordinariamente efficienti.Il prezzo della loro maneggevolezza sta nel dovere rispettare limiti precisi: 660 cc di cilindrata e larghezza inferiore a 1,48 metri.Ma guai a pensare che siano dei giocattoli.In Giappone le kei car sono trattate con una cura maniacale, spesso customizzate con interni kawaii, luci al neon o persino sotto forma di mini-santuari portatili.Il governo le incoraggia con sconti fiscali e parcheggi agevolati siccome anche nell’isola del sol levante il messaggio è chiaro: piccolo è bello.E pure conveniente.
Ma è in Olanda che le auto hanno imparato a nuotare.Nei Paesi Bassi, tra canali e dighe, c'è chi ha pensato di costruire un’auto che galleggia.Nasce così la Amphicar, una specie di cabrio tedesca con l’anima da motoscafo, prodotta in pochi esemplari ma amatissima dagli eccentrici olandesi.C'è di più.In Olanda esiste una comunità di collezionisti e hobbisti che restaurano veicoli anfibi e li usano per attraversare i fiumi. Letteralmente.Con tanto di gite organizzate strillando il loro motto: “Drive into the water like you mean it.”
C’è un paese dove la spiritualità, lo yoga e i profumi secolari si sposano col suono dei clacson, i colori sgargianti e una cultura profonda sui carburatori.In India, l’automobile è una faccenda sinestetica.Qui la macchina la senti, la vedi, la annusi.Ogni taxi Ambassador sembra uscito da un film di Bollywood, decorato con specchi multiformi, fiori variopinti, divinità incastonate nell’abitacolo e tendine ricamate appese ai finestrini.Il clacson qui non è uno sfogo, è una lingua.Tre suoni corti per dire «sto arrivando», uno lungo per intimare attenzione, due alternati per «fammi passare che ho fretta.»E cosa ne dicono le norme stradali?Da queste parti sono più che altro una vaga ispirazione.Eppure, nel caos organizzato, tutto sembra fluire, tutto scorre, tutto continua. Sempre.Come fosse orchestrato da un vigile invisibile.
In Islanda ci sono jeep come balene.Non si tratta dell’inizio di un racconto per bambini.Nella terra del fuoco e del ghiaccio ci sono fuoristrada con ruote alte più di un metro.Qui le auto non si modificano, si trasformano.I Super Jeep paiono mostri su quattro ruote ma in realtà sono l’unico modo per attraversare i deserti vulcanici e i fiumi glaciali di questo paese straordinario.Le sospensioni sono gonfiate a livelli lunari, le gomme sembrano quelle di un trattore, non per estetica ma per sopravvivenza.Eppure, durante le notti polari, queste bestie meccaniche assumono una sorta di bellezza aliena, come fossero balene di metallo pronte a scomparire nella coltre di neve.
Cuba rimane l’isola dove il tempo si è fermato al 1959.Passeggiare per L’Avana è come entrare in una cartolina vintage: Cadillac, Chevrolet, Ford anni '50 scorrono per le strade come se il tempo non fosse mai passato.E in un certo senso è proprio così.L’embargo commerciale imposto dagli USA ha costretto i cubani a mantenere in vita per decenni auto che nel resto del mondo sono diventate reliquie da museo.Con pezzi improvvisati, motori diesel di camion dismessi e molta creatività, questi veicoli vivono ancora oggi.Più resistente dei loro paraurti è solo la tenacia dei meccanici cubani.
Con le Autobahn, in Germania puoi andare dove e a quanto vuoi.Sembra una leggenda metropolitana, ma è una verità teutonica.In molte tratte delle Autobahn tedesche non esiste un limite di velocità.Si viaggia su una media di 150–170 km/h, ma si può facilmente incontrare una Porsche che ci sorpassa a 250 come se nulla fosse.E tutto funziona perfettamente, siccome la disciplina tedesca in fatto di corsie, distanze di sicurezza e manutenzione fa sembrare le altre autostrade un incubo.Tipo Milano nelle ore di punta.
In Australia la guida è a sinistra, ma con il “barra roo”Si tratta di una sbarra d’acciaio montata frontalmente per resistere all’impatto con i canguri.Avete letto proprio bene.Se sulle nostre colline bisogna dare un’occhiata al ciglio della strada perché non spunti un camoscio, un cinghialotto o tutt’al più una vacca che mentre rumina placidamente ci attraversa la corsia, in alcune zone rurali del continente da noi così lontano è più probabile scontrarsi con un marsupiale che con un altro veicolo.Le statistiche parlano chiaro: oltre 20.000 incidenti all’anno coinvolgono veicoli e canguri.La soluzione? Metallo spesso e preghiere sottili.
Ma è la Norvegia il vero paradiso dell’elettrico.Mentre il resto del mondo discute ancora se e quando passare alle nuove tecnologie di alimentazione e di propulsione motore, in Norvegia lo hanno già fatto.Oltre l’80% delle auto vendute nel 2023 sono elettriche.Nelle città ci sono più colonnine per la ricarica che distributori di benzina.E il governo non fa altro che dare una mano ai residenti con bonus fiscali, parcheggi gratis, corsie preferenziali.Qui pure una Tesla può sembrare quasi banale.
Negli Emirati Arabi tutto è più grande.A Dubai le supercar funzionano come taxi.E se si è fortunati, è possibile chiamarne uno e salire su una Lamborghini fiammante.No, non è un sogno febbrile ma la vera realtà.In una città dove anche la polizia gira in Bugatti e McLaren, le auto di lusso sono la normalità.I parcheggi dei centri commerciali sembrano un salone dell’auto di Ginevra e tra oro, sabbia e olio motore, anche l’umile utilitaria finisce per sembrare fuori posto.
Negli Emirati Arabi tutto è più grande.A Dubai le supercar funzionano come taxi.E se si è fortunati, è possibile chiamarne uno e salire su una Lamborghini fiammante.No, non è un sogno febbrile ma la vera realtà.In una città dove anche la polizia gira in Bugatti e McLaren, le auto di lusso sono la normalità.I parcheggi dei centri commerciali sembrano un salone dell’auto di Ginevra e tra oro, sabbia e olio motore, anche l’umile utilitaria finisce per sembrare fuori posto.
Dulcis in fundo ci siamo anche noi, in questa carrellata di stranezze della viabilità e dell’automobilismo.Sì, perché l’Italia è il paese dei parcheggi impossibili.Rispetto al resto del mondo, una ricerca recente ha stabilito che in Italia, parcheggiare è un’opera d’arte.Non soltanto a Roma o a Napoli si vedono auto accostate a 90 gradi ai marciapiedi, parcheggiate in terza fila con il bigliettino "torno subito", oppure incastrate tra un cassonetto e un palo come fossero tetris urbani.E non si tratta soltanto della mancanza di spazio.La nostra è una forma avanzata di sopravvivenza urbana, dove ogni graffio sulla carrozzeria - se accostiamo l’orecchio - ci racconta una storia.