Tutte le volte in cui Richard Hammond ha distrutto un’auto (ed è sopravvissuto)

Il 19 dicembre sono nati attori come Jennifer Beal, Jake Gyllenhaal, Filippo V di Spagna, Italo Svevo e il poeta Guido Gozzano.È nato il leader sovietico Leonid Brezhnev, la leggendaria Edith Piaf e la bomba azzurra Alberto Tomba.È il 1969.Il 19 Dicembre arriva anche a Solihull, una piccola cittadina del Warwickshire nella buona e vecchia Inghilterra.Quel giorno nasce un uomo che ha accarezzerà la morte a oltre 460 all’ora, si sveglierà dal coma con un buco nero nella memoria, e chiederà se qualcuno gli aveva registrato l’episodio.Non si tratta di una leggenda urbana.Si tratta di Richard Mark Hammond, l’anima piccola e iperattiva del più folle trio dell’automobilismo mondiale.Alto 1 metro e 66, soprannominato “Hamster” da colleghi e fan, Hammond è riuscito in qualcosa di apparentemente impossibile: trasformare l’ossessione per la velocità, i motori e i disastri spettacolari in un marchio di stile.E sopravvivere per raccontarlo.Nato nel cuore dell’Inghilterra industriale, Hammond cresce tra chitarre rock, stazioni radio locali e sogni a motore.Dopo una parentesi alla Harrogate College of Art, la sua voce rimbalza su varie frequenze BBC regionali, finché non lo pescano su Men & Motors, dove inizia il lento corteggiamento del destino: nel 2002 entra a fare parte del team che rivoluziona Top Gear.E ha inizio la leggenda.Auto lanciata da un dirigibile? Fatto.Sfide ai confini della Mongolia? Fatto.Mini distrutta da un carro armato? Fatto.E soprattutto, crash quasi mortale su un jet-dragster chiamato Vampire.
È il 2006.Velocità finale: 463 km/h.Risveglio: due settimane dopo, con metà Inghilterra appesa al bollettino medico.La pista è lunga, vuota e piuttosto fredda.RAF Elvington è una base dismessa nel North Yorkshire che per un giorno diventa teatro di un esperimento folle: un uomo di statura modesta contro la velocità, con addosso soltanto una tuta ignifuga e tra le mani il volante di un razzo con le ruote.Si chiama Vampire e si tratta di un dragster a turbina alimentato da un motore Rolls-Royce da aereo da caccia, in grado di sfiorare i 600 km/h in linea retta.Al volante, Richard Hammond sorride, pronto come non mai e incosciente quanto basta.Siamo alla settima corsa della giornata.La produzione di Top Gear ha già filmato le prove, i briefing, il team tecnico che verifica i paracadute e i compressori.L’asfalto sembra pulito, la pista asciutta.Hammond parte.Il dragster spara fuoco dal retro e la telemetria sale.150... 200... 300... 400... 463 chilometri all’ora.È in quel momento che lo pneumatico anteriore destro esplode.Un sibilo, un colpo, un cambio improvviso nella traiettoria. Il dragster si piega, urta il terreno e comincia a capovolgersi su sé stesso come un proiettile rotto.Il roll-bar si schiaccia, il casco di Hammond si riempie di terra e sangue.Il cervello sbatte contro il cranio come fosse un muro di cemento armato e spegne tutto.Un secondo dopo, il silenzio. Quello vero.Sul posto scattano i soccorsi.Il casco è fratturato, il viso di Hammond è semi-coperto di erba e polvere compressa.Respira ancora, ma è privo di sensi.Lo portano via in elicottero, in coma.Le prime 24 ore sono in bilico.Vengono contattati specialisti, neurochirurghi.Si parla di danni irreversibili alla corteccia frontale, quella parte del cervello che regola pensiero, parola, giudizio, emozione.Alcuni credono che se si sveglierà, non sarà più lui.Un medico suggerisce alla moglie Mindy di prepararsi a «un nuovo Richard.»Ma lui, si risveglia. Dopo due settimane.E chiede: «L’avete registrato?»Ride. Piange. Non ricorda granché.Ricomincia piano: parole, movimenti, battute.Il recupero dura mesi.Alcuni giorni non ricorda come si chiama.Altri, inventa parole che non esistono.Deve reimparare a gestire la frustrazione, i riflessi, la paura.Nel gennaio 2007, rientra a Top Gear in diretta, accolto da Clarkson con una risata strozzata e da milioni di spettatori con un applauso.Non è più solo “Hamster”: Hammond è il conduttore che ha toccato la velocità del suono su gomma ed è tornato indietro con il cervello quasi intatto.Il Vampire viene dismesso.Alcuni lo vogliono demolire.Qualcuno lo compra e lo restaura.Nel 2021 tornerà a correre, ma nessuno lo porterà mai più come lui.Hammond da quel giorno, ogni volta che sale su una macchina, la guarda un po’ più a lungo. Poi sorride.E accende il motore lo stesso.
È ancora il 2006.L'idea è semplice, all’insegna del “quest’anno direi che ne abbiamo già avuto abbastanza, prendiamocela tranquilla”.Hammond e la sua squadra vogliono trasformare delle roulotte in case mobili e provare a viverci dentro.Hammond ne costruisce una con il tetto retrattile.In teoria, dovrebbe piegarsi dolcemente.In pratica, collassa in pieno, mentre lui è dentro a prepararsi il tè.La telecamera riprende il momento esatto in cui la parte superiore crolla, le pareti si piegano verso l’interno e Hammond emerge, bianco di polvere, con una tazza ancora in mano.Non è neppure un incidente, è architettura slapstick.In quell’attimo, si capisce perché Hammond è diverso: non costruisce per vincere, costruisce per vedere cosa succede quando tutto va storto.
È il 2007.Siamo al Botswana Special.L'auto è leggera, ridicola, instabile.Si chiama Oliver, è una Opel Kadett del 1963, e Hammond la adotta con lo stesso entusiasmo con cui un bambino salva un cucciolo in autostrada.Ma il deserto del Kalahari non ha pietà.Durante un guado fangoso, mentre Clarkson e May affondano tra i sassi, Hammond forza il ritmo.Oliver salta una pietra, atterra male, e il tetto cede.Si affloscia con un rumore sordo, come una latta svuotata.Hammond esce, osserva il danno, sorride con tenerezza.In quell’attimo, nasce un culto.Oliver diventa leggenda. E Richard, per la prima volta, si affeziona per davvero a un rottame.
È il 2009.Obiettivo: simulare l’esperienza di un guidatore alle prime armi, valutando praticità, budget e performance.Hammond insieme agli altri conduttori devono acquistare un’auto usata adatta a un guidatore diciassettenne, con un budget massimo di £2 500, incluse assicurazione e speseRichard opta per una Hyundai Scoupe del 1993, mentre Clarkson si assicura una Volvo 940 del 1995 e May una VW Golf del 1994La sfida si articola in più prove: da gare a un raduno, fino a test rumorosità; Hammond raggiunge i 50,4 dB nel test “parents' drive” - decisamente in basso rispetto a Clarkson che frantuma un capanno con i suoi 66,1 dB.Non sempre serve la velocità. A volte basta l’idiozia.Hammond, fiero della sua elaborazione acustica, decide di provare l’isolamento del suo veicolo.Si chiude dentro. La macchina sfonda un capanno.Un’esplosione di legno e ferraglia.Parabrezza distrutto, lato passeggero incastrato, risate isteriche e una delle gag più amate dai fan.Nessun danno fisico, solo la consapevolezza che se c’è un muro vicino, Hammond lo troverà.
È il 2014.Piove.L’asfalto è lucido, la telecamera vibra al minimo dosso, e Richard Hammond stringe il volante del suo glorioso Vauxhall Nova SRi del 1993 come se stesse guidando una Lancia Delta da rally.Siamo nel pieno della sfida nostalgica dedicata alle hot hatch anni ’80.Le regole sono semplici: arrivare alla fine.Ma l’asfalto decide il contrario.Una curva a sinistra, una leggera salita, la ghiaia.Hammond forza l’andatura. Lo sterzo risponde lento, il retrotreno si alleggerisce.In una frazione di secondo, la Nova esegue un elegante quanto grottesco barrel roll e si adagia su un fianco, ruote all’aria come un insetto ribaltato.Stavolta niente ferite.Solo parafanghi spezzati, olio a terra, e la dignità di un uomo che sa di aver appena perso contro una piccola utilitaria dimenticata dal tempo.«Va tutto bene» mormora Hammond dal finestrino.Anche se non è convinto neanche lui.
È il 2016 e siamo in Mozambico.In sella a un piccolo motorino da carico, Hammond attraversa un ponte di fortuna fatto di legno e che si libra sopra un fiume africano.L’impresa fa parte di una sfida pseudo-caritatevole in The Grand Tour, in uno degli episodi più surreali della serie.Fa un caldo da schiattare, l’umidità incolla la camicia al torso, e il ponte sembra reggersi solo per abitudine.Una ruota tocca male una tavola.La moto si inclina.Hammond vola di lato e cade.Per qualche minuto non si muove.I produttori corrono. Il medico lo controlla.Nulla di rotto. Solo un ginocchio gonfio, il resto dell’ego ammaccato e una scena tagliata dall’episodio ufficiale.Hammond ride.E per un attimo, anche in Africa, guarda il cielo.
È il 2017.In Svizzera, le montagne attorno a Hemberg sono verdi, perfette.Il sole scivola lungo l’asfalto, la salita è quella di un tracciato da hillclimb per gente seria.In cima, silenziosa e letale, una Rimac Concept One sta per partire. Costa oltre un milione di euro, va da 0 a 100 kmh in 2,5 secondi, pesa due tonnellate e corre come un’idea sbagliata.Richard Hammond entra, aggancia il casco, saluta la troupe.È la quarta e ultima discesa. La più veloce.L’auto scatta come morsa da un demone.Si incolla al terreno, curva, ruggisce.Poi, in una frazione di secondo, succede di nuovo.Troppa velocità. Forse troppa fiducia.Il torque vectoring sbaglia distribuzione e il retrotreno cede.Hammond sterza, ma non basta.La Rimac sfonda la barriera, prende aria, vola giù per il pendio.E inizia a rotolare.Una, due, dieci volte.Un boato che non finisce più.Poi il silenzio di erba pestata e un’auto che brucia.Richard è vivo, ma intrappolato.Ha una frattura al ginocchio, sente l’odore del fuoco e sa che deve uscire subito.I soccorritori lo tirano fuori in tempo.L’auto esplode poco dopo.Un elicottero lo porta via.“Non toccatemi la gamba”, mormora.Quella è l’unica frase che riesce a dire.Dieci viti, una placca e mesi di recupero.Il suo senso dell’umorismo non ha un graffio.Clarkson e May arrivano dopo pochi minuti. Clarkson guarda la carcassa fumante, impallidisce.«Pensavo fosse morto» dirà dopo.Ma anche quello non è ancora il momento.
Incidenti, disastri, graffi, crolli, accartocciamenti, collassi.Eppure, Hammond non si è mai fermato.Ha riso, zoppicato, ed è tornato in pista, con e senza i suoi due compari di avventure.Firma un contratto stellare con Amazon Prime Video per The Grand Tour ed esporta il caos motorizzato nel mondo intero.Oggi, con qualche cicatrice in più e molte più vite vissute, Hammond si è reinventato.Con Richard Hammond’s Workshop apre un garage in carne e ossa per restaurare auto storiche.Assume amici veri, sbaglia sul serio.La meccanica è l’unico posto dove si può consentire di rallentare senza impazzire.Mette su anche un podcast con la figlia Izzy, in cui parla di mascolinità e salute mentale.Racconta la sua fragilità con la stessa onestà con cui ha sempre narrato di cavalli vapore.Perché Richard Hammond non è solo un ex pilota.È un sopravvissuto che sa far ridere.Un artigiano che sa volare.Un uomo piccolo che è diventato gigantesco nel cuore di chi ama i motori. E le storie vere.
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