Fast X è la morte del tuning

Fast X è l’ultimo capitolo della celeberrima saga di Fast and Furious, pilastro della car culture dai primi anni Duemila e simbolo di una generazione di appassionati. Ed è proprio questa pellicola, con il suo inevitabile sequel, svelato dopo due ore e mezza di girato, che ne sancisce anche il suo lento e inesorabile declino.Ormai lo sappiamo, da cinque capitoli a questa parte vi è stata un’escalation nella complessità delle acrobazie compiute dalla compagnia di Dom. Sventare un attentato al Vaticano intercettando un’enorme bomba rotolante a suon di azioni degne di Rocket League, trainare elicotteri in volo o addirittura saltare da una diga in fiamme: non c’è nulla che la Dodge Charger preparata da Toretto non possa fare.
Dobbiamo ammettere che la componente automobilistica, seppur spettacolarizzata fino all’estremo, è piacevolmente presente durante tutta la durata del film. Ai più infottati brilleranno sicuramente gli occhi alla visione dell’Alfa Romeo 2000 GT Veloce messa di traverso da Han per le strade di Roma, della Pagani Huayra Tricolore, della McLaren Senna di Deckard, della Chevrolet Impala di Dante, o ancora della Porsche 911 GT3 RS e della Datsun 240Z minuziosamente elaborata nella la drag race a Rio de Janeiro.
È proprio qui che si palesa il nocciolo della questione. Apprezziamo davvero la volontà di reintrodurre le corse su strada per circa dieci minuti di screen time, ma ci sembra un frivolo tentativo di riportare a galla un immaginario ormai perduto sul grande schermo. Fast X diventa quasi parodia di sé stesso, uno scimmiottamento della natura del franchise in chiave ironica. Proprio per l'introduzione del nuovo villain, Dante Reyes, e del suo carattere eccentrico, ma anche per lo sfacciato abuso di CGI, ancor di più che nel nono capitolo, la saga sembra tendere ora verso un nuovo pubblico. Come uno specchio del mondo reale, la pellicola diventa la metafora del declino, o meglio, del costante mutamento, della scena della personalizzazione automobilistica. I primi film sono stati i fautori diretti dell’esplosione della cultura tuning nelle masse: vetture elaborate meccanicamente dalla A alla Z, con livree sgargianti e bodykit dai connotati racing, come le celebri Skyline R34 o Supra che tutti conosciamo. Nonostante le inevitabili inesattezze tecniche, queste elaborazioni hanno portato generazioni di ragazze e ragazzi a voler replicarne le fattezze sulle proprie auto.
In un mondo che vira sempre di più verso l’autonomia dei trasporti, verso la concezione di veicolo come servizio e verso una standardizzazione degli elementi, non si potranno più “mettere le mani sotto al cofano” in cerca di un aumento di prestazione. Al più, questa si potrà ottenere con un click sul computer di bordo. È chiaro quindi che un Fast and Furious, un 2 Fast 2 Furious o un Tokyo Drift non trovano più spazio nell’interesse contemporaneo, non hanno un appeal sufficiente per smuovere l’indole di nuovi appassionati, che si allontanano sempre più dal mondo del tuning come lo abbiamo imparato a conoscere negli scorsi decenni.Ciò non è necessariamente da leggersi come un male, ma il film ci lascia una sensazione di malinconia appena usciti dalla sala, consapevoli di questa discesa lenta ma inesorabile, di fronte alla quale solamente la passione e la volontà possono mantenere in vita quella che ormai è una nicchia sempre più ristretta.
Ultime news