Quando al mattino mettiamo le mani sul volante, nessuno di noi riflette sulla quantità di invenzioni, di brevetti, di idee su cui andiamo in giro per le strade di mezzo mondo, comodamente seduti sulla nostra autovettura.Sono certo che nessuno di noi dice «grazie, tergicristalli, per tutto quello che fai».Eppure, se piove, senza di loro saremmo costretti a guidare con la testa infilata in un acquario.È questo il destino ingrato di molti degli oggetti che sono presenti nelle nostre autovetture.Perfettamente invisibili fino a che non mancano.Il fatto è che dietro ogni piccolo marchingegno che diamo per scontato all’interno del nostro bolide, c’è una storia fatta di immaginazioni, di processi chimici, di cause legali e pure di un bel po’ di incosciente follia.
Se vi dicessi, per esempio, che proprio l’idea del tergicristallo è venuta a una donna che guardava la neve mentre scendeva dal cielo?Nel dicembre 1902, Mary Anderson è a New York, nel mezzo di un altro inverno nordamericano, con i conducenti che tirano giù il finestrino a manovella per affacciarsi fuori dal parabrezza e pulire il vetro con la mano.Mary - che era una donna di una volta e veniva dall'Alabama di una volta - ci pensa su e si domanda «E se invece ci fosse un braccio che lo facesse al posto loro?».Detto, fatto.Mary torna a casa e brevetta un marchingegno dotato di una leva interna, una molla e una lama di gomma.Si tratta del primo tergicristallo manuale, il cui movimento gli permette di pulire vetro, pioggia e neve con continuità.Il brevetto n. 743801 è registrato il 10 novembre 1903 e come spesso accade per le invenzioni che cambiano il mondo, nessuno le dà retta. Ma intanto l’idea è nata.Sulla strada tracciata dalla nostra Mary, nel 1917 è il turno di Charlotte Bridgwood - figlia del cinema e madre dell’attrice Florence Lawrence - di tentare la fortuna con un tergicristallo elettrico a rulli che si rivela ben presto un altro flop commerciale.Charlotte lo brevetta lo stesso come “Storm Windshield Cleaner” nell’ottobre del 1917 e seppure viene considerato da tutti un progetto innovativo, non incontra il favore del mercato e il brevetto scade nel 1920.A quel punto giungono le versioni con un motore.Negli anni ’20 i fratelli Folberth introducono dei tergicristalli pneumatici azionati dai gas di scarico mentre nel 1926 Bosch mette a punto alcune versioni elettriche con lame.Ma è grazie a un certo Robert Kearns che durante i ruggenti anni ’60, vede la luce il sistema intermittente ispirato al battito delle palpebre.Solo che nel 1969 Ford e Chrysler gli rubano l’idea, e da quel momento inizia una sequela di cause legali che dureranno più di trent’anni.
Se vi dicessi, per esempio, che proprio l’idea del tergicristallo è venuta a una donna che guardava la neve mentre scendeva dal cielo?Nel dicembre 1902, Mary Anderson è a New York, nel mezzo di un altro inverno nordamericano, con i conducenti che tirano giù il finestrino a manovella per affacciarsi fuori dal parabrezza e pulire il vetro con la mano.Mary - che era una donna di una volta e veniva dall'Alabama di una volta - ci pensa su e si domanda «E se invece ci fosse un braccio che lo facesse al posto loro?».Detto, fatto.Mary torna a casa e brevetta un marchingegno dotato di una leva interna, una molla e una lama di gomma.Si tratta del primo tergicristallo manuale, il cui movimento gli permette di pulire vetro, pioggia e neve con continuità.Il brevetto n. 743801 è registrato il 10 novembre 1903 e come spesso accade per le invenzioni che cambiano il mondo, nessuno le dà retta. Ma intanto l’idea è nata.Sulla strada tracciata dalla nostra Mary, nel 1917 è il turno di Charlotte Bridgwood - figlia del cinema e madre dell’attrice Florence Lawrence - di tentare la fortuna con un tergicristallo elettrico a rulli che si rivela ben presto un altro flop commerciale.Charlotte lo brevetta lo stesso come “Storm Windshield Cleaner” nell’ottobre del 1917 e seppure viene considerato da tutti un progetto innovativo, non incontra il favore del mercato e il brevetto scade nel 1920.A quel punto giungono le versioni con un motore.Negli anni ’20 i fratelli Folberth introducono dei tergicristalli pneumatici azionati dai gas di scarico mentre nel 1926 Bosch mette a punto alcune versioni elettriche con lame.Ma è grazie a un certo Robert Kearns che durante i ruggenti anni ’60, vede la luce il sistema intermittente ispirato al battito delle palpebre.Solo che nel 1969 Ford e Chrysler gli rubano l’idea, e da quel momento inizia una sequela di cause legali che dureranno più di trent’anni.
E chi avrà mai avuto l’idea di quel pezzo di stoffa impenitente che abbraccia i nostri sterni e ci tiene ancorati al sedile?Si tratta di un certo signore americano che risponde al nome di Edward J. Claghorn e che nel 1885 brevetta una prima "cintura di sicurezza antifuga" che viene però destinata ai turisti in viaggio sugli yacht, anteponendo l’uso della cintura per trattenere la persona.La Nash Motors nel 1949 è la prima a offrire sulle proprie auto la cintura a 2 punti, come optional installabile nei sedili anteriori.È Nils Bohlin per Volvo (e a questo punto siamo arrivati fino in Svezia nel 1959), ingegnere con una forte formazione aeronautica, che sviluppa e brevetta la cintura di sicurezza a 3 punti: lap e diagonale, con un solo punto di ancoraggio.Nils la brevetta negli USA il 10 luglio 1962 (US Patent 3043625), ma verrà introdotta sul mercato da Volvo solo nell’agosto del ‘59.La versione di Bohlin è considerata responsabile del salvataggio di oltre 1 milione di vite di automobilisti e della riduzione dei decessi per incidenti stradali del 50 %.Da quel momento, Volvo rilascia il brevetto in open patent nel 1968, incoraggiandone la diffusione in tutto il settore automotive.
Adesso immaginati un sacco pieno di azoturo di sodio, pronto per esplodere davanti alla tua faccia a 300 km/h.La polvere all’interno, una volta innescata da un detonatore elettrico (tipo miccia da cartone animato con Willy Coyote e Beep Beep), prende fuoco rapidamente e produce azoto in 40 millisecondi.E boom. Il cuscino ti si gonfia davanti e tu sopravvivi.La prima casa automobilistica a dotare una delle sue autovetture di un moderno Airbag è General Motors nel 1973.Solo negli anni ’80 si diffuse il suo utilizzo a livello globale e oggi lo si trova praticamente ovunque.È ovunque.All’altezza delle ginocchia, dentro le portiere, sul tetto, nelle colonne laterali. Addirittura, fuori dall’auto, nei SUV di lusso.In casa Takata, il colosso giapponese decide di fare il bastian contrario e di usare al posto dell’azoto il nitrato di ammonio.L’unico dettaglio sfuggito agli ingegneri nipponici è stato quello per cui in caso di umidità, il sale trasforma l’airbag in una granata che solo durante i crash test causa oltre 30 vittime.Ça va sans dire. Progetto archiviato.
Il moderno ABS viene creato nel 1971 da un italiano, Mario Palazzetti, presso il Fiat Research Center.Il sistema originariamente prende il nome di “Antiskid” e i suoi brevetti vengono ceduti a Bosch, che lo commercializza come ABS.I principi di funzionamento sono tutto sommato semplici. Alcuni sensori posti sulle ruote rilevano la velocità di ciascun pneumatico. Una unità ECU confronta i segnali e decide se si sta arrestando una ruota mentre, allo stesso tempo, delle solerti valvole idrauliche modulano la pressione frenante in modo istantaneo attraverso una pompa che ripristina rapidamente la pressione dopo il rilascio, operando ciclicamente fino a 20 volte al secondo.In situazioni di emergenza, la pressione viene applicata e rilasciata rapidamente per evitare il bloccaggio completo delle quattro ruote e il conducente percepisce il tipico tremolio del pedale.L'invenzione dell’ABS ha sempre avuto i suoi pro e contro.Il suo principale vantaggio è che permette all’automobile di mantenere la capacità di sterzare durante la frenata su asfalto.Il principale effetto collaterale è che su superfici instabili (come neve, ghiaccio, ghiaia) l’ABS può peggiorare lo spazio di arresto.Il brevetto US 3707313, che viene depositato nel 1972 da parte di Palazzetti e dei suoi collaboratori, descrive letteralmente un sistema che bilancia la pressione tra ruote anteriori e posteriori, in modo coordinato e aumentando l’efficacia dell’azione frenante, senza però dotare ogni ruota di sensori separati.
Per testare la progettazione di tutte queste diavolerie, oggi vengono utilizzati manichini ripieni di sensori che misurano ogni tipo di sollecitazione in ogni punto del corpo del potenziale pilota o passeggero.Invece, negli anni '30 e '40, le università americane, proprio come avveniva per gli studenti di medicina, usavano dei corpi umani, veri e propri.E la Wayne State University a Detroit fu una pioniera.Il problema è che i manichini non hanno milza, né tibie da fratturare mentre i cadaveri, sì.E proprio grazie a questa pratica un po’ macabra che si comprese come durante un determinato tipo di collisioni le ginocchia sfondavano il cruscotto e il torace si fracassava, e che di conseguenza sarebbero serviti cruscotti imbottiti e volanti collassabili.Anche così una miriade di vite sono state salvate.Oggi i test vengono eseguiti EuroNCAP e IIHS, con crash a 64 km/h attraverso l’utilizzo di manichini digitali di ultimissima generazione.Ma se la nostra auto ha 5 stelle nei test di sicurezza, dobbiamo dire anche grazie a tutti quei defunti che volarono contro un parabrezza in nome della scienza.Macabro? Forse sì. Utile? Senza dubbio.
La strada tra le curiosità automobilistiche non si esaurisce di certo qui.
L’Austriaco Edmund Rumpler lancia la Tropfenwagen nel 1921, ovvero la prima vettura di serie ottimizzata in una galleria del vento.Il suo coefficiente di resistenza aerodinamica era di 0,28 che tutto sommato è sorprendente ancora oggi.Per ridurre la resistenza, Edmund introduce vetri ricurvi su un’unica superficie.Una volta terminato il prototipo, ne vende circa cento esemplari, e poi la storia si dimentica di lui e della sua goccia a quattro ruote per colpa di un look tutt’altro che muscolare e della mancanza di un bagagliaio.Perlomeno prima che nel dimenticatoio automotive, è finita come attrice nel film Metropolis.
L’Austriaco Edmund Rumpler lancia la Tropfenwagen nel 1921, ovvero la prima vettura di serie ottimizzata in una galleria del vento.Il suo coefficiente di resistenza aerodinamica era di 0,28 che tutto sommato è sorprendente ancora oggi.Per ridurre la resistenza, Edmund introduce vetri ricurvi su un’unica superficie.Una volta terminato il prototipo, ne vende circa cento esemplari, e poi la storia si dimentica di lui e della sua goccia a quattro ruote per colpa di un look tutt’altro che muscolare e della mancanza di un bagagliaio.Perlomeno prima che nel dimenticatoio automotive, è finita come attrice nel film Metropolis.
Il concetto di auto salvagente viene invece da Walter C. Jerome che, disgustato dall’imperfezione delle auto americane anni ’50, si mette in testa di assemblare una carrozzeria in due pezzi - motore/scocca separati e cabina passeggeri sopraelevata - con tanto di cupola rotante a 360° stile famiglia Jetsons.Ruote gommate, porte scorrevoli, roll-bar integrato.Ahimè, il progetto di Walter rimane un puro concept e oggi giace nei depositi del Lane Motor Museum.
E se vi dicessi che avere una quinta ruota in un’automobile sarebbe ideale per parcheggiare da Dio?Il fatto è che non lo dico solo io.Negli anni ’30, l’inventore Brooks Walker brevetta un meccanismo con una quinta ruota ortogonale al retrotreno, che solleva la parte posteriore della vettura per ruotarla lateralmente durante il parcheggio parallelo.Il progetto appare su riviste a tiratura globale come Life e New York Post, ma nessun costruttore lo adotta.E quindi, ahimè, finisce lì.
Ma dove vogliamo mettere la Dymaxion car?Questa volta siamo di fronte a un vero e proprio UFO su ruote che negli anni ’30 salta nella testa di Buckminster Fuller insieme a un portafoglio di ingenti ambizioni.Tre ruote, motore retrocesso, sterzo a 90° sulla ruota posteriore, corpo aerodinamico leggero, e addirittura… una vaga flyability!Il progetto include anche un periscopio al posto del lunotto, solo che la pessima guidabilità e un incidente mortale durante la verifica su un prototipo, fermano il sogno della zucchina volante.
Nel 1941 nasce l’auto di plastica vegetale.La Ford si mette di buzzo buono e costruisce un’automobile dotata di una carrozzeria in bioplastica, derivata da soia, mais, canapa e lino, risparmiando il 25% di peso rispetto a una scocca in metallo.Questo gioiello di sostenibilità ante litteram viene presentata nel 1941, come “riserva strategica per la guerra”.L’idea viene considerata brillante, solo che già nel dopoguerra sparisce inesorabilmente tra i fumi dell’acciaio.
Sempre dagli USA vengono due idee che per fortuna non hanno mai visto la pista di decollo.Negli anni ’60 e ‘70 qualcuno si è fatto venire l’idea di una griglia per cuocere hamburger sfruttando il calore dei gas di scarico.Il cibo veniva cotto durante il viaggio, tra l’odore di benzina e la voglia di un panino fritto sul piatto del volante.L’altra invenzione riguarda un vero wc integrato nel sedile auto, con tanto di scarico incluso.Ideale per viaggi infernali e lunghe code in autostrada sotto l’immobile sole di agosto.C’era una promessa di libertà nel progetto ma anche in questo caso - fortuna per l’olfatto - non decollò.
In compenso, alcuni ingegneri missilistici si sono inventati il volante “twist”.Ford, nel 1965, sperimenta un sistema di due dischi da torcere con il polso al posto del volante in modo da operare meno sforzo, godere di una vista migliore sulla strada e millantando manovre di parcheggio oltremodo facilitate.Solo che gli ingegneri aerospaziali non avevano fatto i conti col particolare che nessuno sulla faccia della Terra voleva guidare girando i polsi come un DJ spaziale.Forse un po’ troppo missile e troppo poco volante.
In compenso, alcuni ingegneri missilistici si sono inventati il volante “twist”.Ford, nel 1965, sperimenta un sistema di due dischi da torcere con il polso al posto del volante in modo da operare meno sforzo, godere di una vista migliore sulla strada e millantando manovre di parcheggio oltremodo facilitate.Solo che gli ingegneri aerospaziali non avevano fatto i conti col particolare che nessuno sulla faccia della Terra voleva guidare girando i polsi come un DJ spaziale.Forse un po’ troppo missile e troppo poco volante.
Ma senz’altro una delle invenzioni più assurde è da annoverare nuovamente alla creatività luciferina di casa Ford che nel 1958 disegna la Nucleon, un prototipo di auto alimentata da un mini-reattore nucleare.L’idea sulla carta non fa una piega.L'auto non ha più necessità di rifornimento e può viaggiare senza sosta per mezza era glaciale. Purtroppo, il pericolo di radiazioni fuori controllo e il buon senso, fermano tutto e tutti un attimo prima di causare l’estinzione della specie umana anzitempo.In fin dei conti, la creatività ha il suo costo.