Stessa auto, marchi diversi: il trucco geniale dell’industria auto

Non sembra anche a voi che ci sia qualcosa di strano nel mondo delle auto? a volte due modelli sembrano identici. Stessa carrozzeria, stessi interni, stesso motore. Eppure uno ha il logo Lancia, l’altro Chrysler. Uno è Toyota, l’altro Mazda.Non è un caso. È una tecnica che l’industria usa da decenni per aggirare ostacoli, tagliare costi e piazzare auto dove altrimenti sarebbe impossibile. Si chiama badge engineering, ed è molto più intelligente di quanto sembri. Vediamo i casi più curiosi e le logiche che ci stanno dietro.Lancia Ypsilon – Chrysler YpsilonQuando Fiat ha acquisito Chrysler, si è trovata di fronte a un dilemma: Lancia era ancora amata in Italia, ma totalmente sconosciuta nel Regno Unito. Per evitare l’enorme investimento di lanciare un brand da zero, ha preso la Ypsilon, le ha cambiato solo il logo e l’ha messa in listino come Chrysler Ypsilon. La carrozzeria era identica, ma con guida a destra e qualche dettaglio adattato. Così ha potuto sfruttare la rete vendita Chrysler già presente, senza spendere una fortuna in pubblicità o concessioni nuove.
Subaru BRZ – Toyota GT86 – Scion FR-SToyota e Subaru hanno unito le forze per creare una piccola sportiva a trazione posteriore, pensata per chi adora guidare. Invece di fare due modelli diversi, hanno realizzato un’unica auto e l’hanno distribuita con tre nomi diversi: Subaru BRZ, Toyota GT86, e Scion FR-S negli Stati Uniti. In questo modo hanno potuto dividere i costi di sviluppo, che per un’auto di nicchia come questa sarebbero stati troppo elevati per una sola casa. Il badge diverso serviva solo ad adattarsi ai vari mercati e target.
Fiat 124 – Lada Zigulì (VAZ 2101)
Negli anni Settanta, Fiat ha venduto all’Unione Sovietica il progetto della 124. I sovietici ne hanno fatto la base per la VAZ 2101, nota da noi come Lada Zigulì. Hanno rinforzato le sospensioni, cambiato i materiali per affrontare il clima rigido e mantenuto il cuore italiano. Fiat, con questa mossa, ha incassato senza doversi preoccupare della produzione. In pratica, ha trasformato un modello già ammortizzato in una fonte di guadagno prolungato, vendendone la licenza a un’intera nazione.
Audi A4 B7 – SEAT Exeo
Quando Audi ha terminato la produzione della A4 B7, il Gruppo Volkswagen ha deciso di non mandare tutto in pensione. Il telaio, gli interni e molte componenti sono passati direttamente a SEAT, che li ha usati per creare la Exeo. Con questo passaggio, SEAT ha potuto offrire una berlina di fascia alta. È stato un modo semplice per dare nuova vita a un progetto già collaudato e per aumentare il valore percepito del marchio spagnolo, senza toccare il budget di ricerca e sviluppo.
Fiat Sedici – Suzuki SX4
Fiat e Suzuki hanno lavorato insieme per costruire un piccolo SUV urbano che potesse piacere sia in Europa che in Asia. Da questa collaborazione è nata una vettura venduta con due nomi diversi: Fiat Sedici e Suzuki SX4. Le due aziende si sono divise i compiti e i mercati, ottimizzando la produzione in un unico stabilimento in Ungheria. Questo ha permesso a entrambe di risparmiare enormemente sui costi industriali e di entrare nel segmento dei crossover senza dover investire in progetti separati.
Chrysler 300C – Lancia Thema (2011)
Nel 2011, Fiat ha deciso di rilanciare la Lancia Thema, ma invece di progettare una nuova ammiraglia ha preso la Chrysler 300C e l’ha “europeizzata”. Interni più curati, assetto rivisto e dettagli estetici meno americani. Il motivo? Creare un’ammiraglia italiana in tempi brevi e senza dover affrontare l’enorme spesa di sviluppo. Riutilizzare un modello Chrysler già esistente ha consentito di rientrare velocemente in un segmento in cui Lancia era scomparsa da tempo, limitando i rischi finanziari.
Fiat Panda – SEAT Marbella
Dopo la fine della collaborazione tra Fiat e SEAT, la casa spagnola ha continuato a produrre la vecchia Fiat Panda con minimi aggiornamenti e ribattezzandola Marbella. Fiat non poteva più vendere quel modello, ma SEAT ha avuto il permesso di farlo localmente. Questo le ha consentito di offrire una citycar economica e robusta per anni, senza dover svilupparne una nuova. È stato un modo semplice per SEAT di mantenere una fascia di mercato popolare con costi praticamente nulli di progettazione.
Ford Crown Victoria – Mercury Grand Marquis – Lincoln Town Car – Mercury Marauder
Quattro auto, un solo telaio. La piattaforma Panther di Ford ha dato vita a modelli diversissimi nel look e nel posizionamento: la Crown Victoria per polizia e taxi, la più elegante Grand Marquis, la lussuosa Lincoln Town Car e la sportiva Mercury Marauder. Con un’unica architettura, Ford ha potuto servire diversi segmenti di clientela, dal pubblico a basso costo fino al premium. Questo approccio ha abbattuto i costi industriali, semplificato la manutenzione e permesso di saturare la capacità produttiva degli stabilimenti.
Toyota Yaris – Mazda2 Hybrid
Dal 2022, la Mazda2 Hybrid venduta in Europa è, di fatto, una Toyota Yaris con il logo Mazda. Mazda non ha sviluppato un’ibrida compatta in casa e, anziché investire cifre colossali in un settore dove era indietro, ha scelto di stringere un accordo con Toyota. Così è entrata nel mercato delle ibride in modo rapido ed efficace, sfruttando una tecnologia già affermata e adattandola al proprio stile. Una scorciatoia perfetta per non restare fuori da una fetta sempre più importante del mercato.
Lancia Delta – Saab-Lancia 600
Negli anni Ottanta, Saab cercava un modo per offrire una compatta moderna senza svilupparla internamente. Così è nata la Saab-Lancia 600, una Delta prima serie con qualche modifica estetica, venduta nei paesi nordici con un badge più familiare per quel pubblico. Saab ha così evitato di affrontare una lunga fase di progettazione, mentre Lancia ha potuto espandersi in un’area dove non aveva ancora presenza. È stato un modo per entrambe le aziende di ottenere visibilità e presenza commerciale con il minimo sforzo.
Dietro ogni logo, una strategiaIl badge engineering non è un trucco malizioso, ma una strategia raffinata per contenere i costi, evitare rischi e moltiplicare la presenza sul mercato. Cambiare il nome a un’auto può sembrare un’operazione di facciata, ma spesso è la chiave per far quadrare i conti di un’intera azienda.In un settore dove ogni nuovo modello può costare oltre un miliardo di euro tra sviluppo, test e industrializzazione, riutilizzare piattaforme, meccaniche e persino intere auto diventa una scelta obbligata per chi vuole restare competitivo.Che si tratti di entrare in mercati nuovi, risparmiare tempo o spalmare i costi su più marchi, il badge engineering è una di quelle mosse che, se fatte bene, passano quasi inosservate, tranne a noi appassionati, ovviamente!Dietro ogni logo c’è una decisione strategica, un compromesso tecnico, o una manovra per guadagnare terreno. E la prossima volta che incroci un’auto “già vista”, prova a guardare meglio, potresti scoprire che è la gemella di qualcun’altra.
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